I Santi

Le icone dei quattro santi proposti nella cripta del seminario non sono propriamente in linea con il ciclo iconografico realizzato. L’idea di mettere dei santi è sempre di don Andrea che aveva pensato alla figura di san Benedetto, al quale sembra fosse dedicata la cripta o che comunque ne aveva avuto una sua presenza in immagini musive. Il fatto poi che la struttura fosse un antico monastero benedettino olivetano ha contribuito all’idea di presentare un’icona di san Benedetto. Successivamente è nato il pensiero del ciclo iconografico delle vocazioni di Maria, per cui questo unico santo presentava problemi di collocazione, oltre che di dimensioni. 

Pensando a chi affiancargli, è venuto naturale, trovandoci a concepire il progetto all’inizio dell’anno dedicato a san Paolo, l’idea di inserire l’apostolo delle genti tra le icone da realizzare. Ora si trattava di vedere dove collocare le icone dei due santi. Per le altre icone le scelte erano già state fatte, per cui rimanevano libere alcune arcate. Furono individuate nelle due laterali alla Crocifissione le più indicate, perché inserite nello spazio del presbiterio che ha una struttura unica rispetto al resto della cripta. Ma immaginando le due figure da sole in quelle grandi arcate era ancora una scelta debole, soprattutto perché avremmo avuto due figure fisicamente grandi rispetto alla dimensione delle figure delle feste. Così si è pensato al santo patrono della chiesa di Rimini, Gaudenzo e a san Giovanni Precursore, proprio per il ruolo importante che ha nell’economia della salvezza e perché si pone come modello per la classe sacerdotale. Non si deve dimenticare che i maggiori fruitori delle icone della cripta del seminario saranno proprio i seminaristi, per cui la proposta di avere come guide spirituali e di riferimento queste grandi figure ci è sembrato potesse offrire una visione completa per un cammino formativo così complesso come quello sacerdotale.

La forma delle tavole ha ricalcato quella delle icone delle feste, con la differenza che la base in questo caso è la metà esatta, mentre l’altezza è rimasta uguale. Questo ha permesso di realizzare un disegno interno ad archi che ha ancora ridotto l’altezza delle figure. Così facendo si è creata un’architettura con un ampio spazio in muratura nel quale è stato inserito un clipeo con le immagini degli arcangeli maggiori: Michele e Gabriele. L’insieme ha preso una sua impaginazione e si armonizza con le icone festive.

San Gaudenzo

Per l’icona del santo patrono mi sono rifatto ai testi che i fedeli riminesi conoscono bene, cioè un vescovo che ha lottato contro l’arianesimo e che fu martirizzato il 14 ottobre 360 proprio dai seguaci dell’eresia ariana. Bisogna dire che nell’iconografia il modo di realizzare l’icona di un santo è diverso da quello occidentale. Essendo Gaudenzo un santo del quarto secolo non si poteva realizzare un’immagine come nell’iconografia latina, perché i dipinti più noti sono già di epoca rinascimentale, quindi con abiti non adeguati al vero contesto storico. Va inoltre considerato che era un vescovo, e in questo caso è più importante la qualifica del martirio finale che ha subito. Un’altra differenza con l’iconografia occidentale è che in oriente si tende a sottolineare un elemento importante, perché l’immagine sia essenziale e facilmente riconoscibile dal popolo. Un vescovo va quindi presentato con gli abiti del suo ordine sacerdotale e con un elemento che contraddistingua il suo ministero. Al tempo di Gaudenzo non c’era differenza tra un vescovo e un sacerdote, come si vede nei dipinti dell’epoca. Ognuno portava l’abito sacerdotale sopra una tunica, ma ciò che contraddistingueva un vescovo era l’omophorion, la stola vescovile recante tre croci che gira sulle spalle e scende sul davanti. Pertanto mi sono rifatto all’immagine di Apollinare che campeggia nella conca absdidale di s. Apollinare in Classe. Di lui si dice che sia vissuto ancora nel II-III secolo, quindi è precedente a Gaudenzo. Ma in quel periodo tali erano le fogge degli abiti sacerdotali (come si può vedere dalle immagini di Vittore e Ambrogio a Milano), che mi è parso valido prenderne a prestito alcuni elementi. È evidente che ai tempi del mosaico ravennate non siamo ancora nella piena codificazione dell’arte bizantina, che un mosaico non è un’icona su tavola, per cui fatte le debite variazioni l’icona che oggi vediamo presenta una figura frontale, benedicente con la mano destra e recante il libro degli Evangeli in quella sinistra. La benedizione, a immagine del Cristo, è il gesto tipico del santo, specie se si tratta di un ministro ordinato. Il libro sacro sta ad indicare l’azione di annuncio e di insegnamento che svolge il vescovo nella sua chiesa, affermando la verità contro le idee peregrine che sempre hanno accompagnato il cristianesimo. E in quel periodo sappiamo bene come fosse attiva una delle più importanti eresie delle storia, l’arianesimo.

Nell’icona della cripta compare anche la mitra, tipico copricapo vescovile, che non è presente nelle icone orientali, ma che ho lasciato anche se in forma diversa da quelle consuete dell’iconografia rinascimentale, ancora in linea con l’iconografia classica. Così come la stola e le scarpe mutuate dal mosaico di Apollinare, perché realizzate in un territorio limitrofo, quindi vicino a quello riminese, a sottolineare la ricerca di un inserimento in un linguaggio comune, che guarda alla tradizione come risorsa e valore da perpetrare.

San Benedetto

Per realizzare l’icona di Benedetto il materiale pittorico di riferimento non mancava, sia in affresco che su tavola. La posizione del santo prevede l’importanza del libro che reca nelle mani, la Regola benedettina, per questo, come a volte anche gli apostoli e gli evangelisti, il libro viene preso con tutte e due le mani. Anche Benedetto si presenta frontale, nel suo abito monastico con lo scapolare, e con il cappuccio in testa, a sottolineare un gesto tipico dei monaci. La sobrietà dell’immagine non deve far pensare ad una povertà di linguaggio, ma vuole indicare la scelta austera della vita monastica. Il colore dell’abito è un nero caldo, così come è in uso in iconografia, perché non diventi un colore troppo scuro e sganciato dal contesto cromatico.

San Giovanni Precursore

L’immagine di Giovanni rientra nella classica iconografia tradizionale, con il santo benedicente e recante un rotolo con un suo testo. Per quanto riguarda i vestiti c’erano alcune possibilità tra quelle della sua iconografia e ho optato per presentare anche  il vestito di peli di cammello (Mt 3,4) in sostituzione del chitone (tunica), oltre che l’himation (mantello). La sua capigliatura è lunga e scomposta, così come la barba, come si addiceva a un nazireo, sulla cui testa non passava la lama del rasoio ad indicare il suo stato di consegna totale a Dio. Lo sguardo è serio, ma nello stesso tempo attento e profondo, alla ricerca dell’incontro con il nostro sguardo. Nei testi evangelici non dice moltissime frasi, ma poche parole che laciano il segno, così che il suo personaggio si caratterizza anche per quello che dice. Ecco così che la scure alla base dell’albero posto ai suoi piedi diventa un topos della sua iconografia,  riprendendo l’espressione di Mt 3,10.

San Paolo

Anche l’iconografia paolina è molto ricca, data la sua rappresentazione nell’ordine della Deesis, all’interno dell’iconostasi. A differenza delle grandi figure in piedi oranti, la nostra tavola presenta il santo frontalmente, per cui necessitava una diversa proposta. Paolo si presenta con un ampio  himation (mantello) porpora chiaro che lo avvolge quasi interamente, lasciando poco spazio al chitone (tunica) blu, che emerge solo nella zona bassa della figura. Questi abiti sono indossati praticamente da ogni santo nell’iconografia orientale, e ciò che diventa caratteristico è il colore degli stessi. Questi sono i colori di Paolo, mentre Pietro avrebbe assunto un giallo per l’himation. Il chitone per tutti gli apostoli ha lo stesso colore, che varia nei toni di un blu, blu/verde. 

Paolo regge un libro in segno dei tanti testi da lui scritti, con entrambe le mani, e anche lui come Giovanni al suo fianco, si offre a noi in una ricerca di incontro di sguardi. La sua fronte è alta, mentre pochi sono i capelli scuri e la barba si  snoda in ciocche ben definite. L’atteggiamento fiero e presente ci vuole indicare il carattere paolino, che del resto appare dai suoi scritti: fortezza nella fede, certezza nella speranza e ricerca del carisma più alto, l’agàpe.  

Giancarlo Pellegrini