«In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».
(Luca 1,39-45)
L’incontro di Maria con Elisabetta è un episodio teofanico, una manifestazione di Gesù e di Maria, o meglio di Gesù attraverso sua Madre.
Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, il suo movimento verso l’alto indica l’inizio di un’azione nuova, azione che richiede un cambiamento e una decisione. Con premura ed entusiasmo Maria s’incammina verso la casa di Zaccaria ed Elisabetta; il motivo di questa fretta non è detto, ma è più una nota qualitativa dell’animo che del tempo.
Perché Maria si reca da Elisabetta? Sicuramente è spinta dalla carità, dal desiderio di mettersi al servizio della cugina bisognosa di aiuto nella sua gravidanza tardiva, ma non c’è solo questo. Il viaggio di Maria è anzitutto in funzione della manifestazione di Gesù, dunque al servizio di Lui prima che di Elisabetta.
Il viaggio di Maria ricorda quello dell’arca dell’Alleanza ed è anche figura e anticipo del viaggio che Gesù stesso farà verso Gerusalemme incontro alla sua Pasqua di morte e risurrezione. L’incontro tra Maria ed Elisabetta è il simbolo degli incontri che anche Gesù farà in questo suo viaggio, incontri segnati dall’Amore che si dona e che, nella libertà, può essere accolto o respinto dall’uomo.
All’evangelista non interessa il motivo per il quale Maria si è messa in viaggio, ma ciò che è avvenuto nell’incontro con la cugina.
Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Maria porge il saluto per prima: è dunque sua l’iniziativa; attorno a questo saluto si sviluppano tre aspetti importanti del racconto evangelico: il sussulto del bambino, la venuta dello Spirito, il riconoscimento di Elisabetta.
Il saluto di Maria, diversamente da quello di Elisabetta, è senza parole. Questo silenzio contribuisce a mettere in risalto la persona di Maria: non le sue parole, ciò che Ella ha detto, fa sussultare il bambino, ma la sua voce. È nella voce di Maria che Giovanni percepisce la presenza del Messia atteso.
Il bambino sussultò nel grembo è detto due volte. Questo sobbalzo, dunque, è importante: è un salto di gioia per la venuta del Messia, è giubilo profondo per la salvezza promessa e donata da Dio nella persona di Gesù.
Elisabetta sente il bambino sussultare nel suo grembo e, piena di Spirito Santo, comprende e legge l’evento della visita di Maria in ordine alla salvezza.
Maria è portatrice di santificazione, dello Spirito, ma prima ancora di gioia.
Nel saluto/risposta di Elisabetta è ancora Maria la figura centrale, è di Lei che si parla; la meraviglia di Elisabetta è per la venuta del Signore ma Egli è ancora nascosto nel grembo di Maria e tutto è ancora direttamente rivolto a Lei.
Esclamò a gran voce. È un grido quello di Elisabetta che dice la sorpresa e la meraviglia. Ispirata dallo Spirito Santo, ella interpreta, riconosce e proclama a gran voce ciò che sta accadendo in Maria.
Tre sono i riconoscimenti. Maria è la Benedetta fra le donne per il frutto del suo grembo. Chiamandola Madre del mio Signore, Elisabetta riconosce insieme l’identità di Maria, la Madre, e di Gesù: Egli è il Signore, il Cristo risorto e glorioso, nella pienezza della sua regalità divina e umana. Elisabetta riconosce Maria prima come Madre e poi come credente: Beata colei che ha creduto. La maternità divina è solo di Maria; il suo essere credente e figura del discepolo, di colui che ascolta la parola e la osserva, e si affida all’amore di Dio, è per tutti.
Nella chiesa orientale, a differenza della nostra, la Visitazione non è considerata una festa e, come immagine, la possiamo trovare all’interno della raffigurazione dell’inno Acatisto alla Madre di Dio, la preghiera da recitare in piedi che canta gli episodi della vita della Vergine Maria e le sue lodi. Esistono icone su tavola dell’inno Acatisto che vedono la Madre di Dio al centro circondata dagli episodi della sua vita; oppure, gli stessi episodi dipinti all’interno delle chiese.
Nonostante gli esempi a disposizione non siano stati molti, è apparso ugualmente chiaro fin dall’inizio, quanto la Visitazione fosse un’immagine dalla struttura essenziale, incentrata prevalentemente sulle due donne: è l’incontro tra Maria ed Elisabetta a fare l’icona.
La tradizione iconografica offre come modello una composizione molto semplice che vede al centro le due donne nell’atto di abbracciarsi; di fianco a loro, immediatamente dietro, si ergono due alti edifici, collegati al centro da un basso muro. Questi due edifici sono la casa di Maria, da cui Ella è partita per il suo viaggio incontro alla cugina, e la casa di Zaccaria ed Elisabetta, luogo di arrivo e accoglienza della Madre di Dio. Nella parte alta, fra le due case, si stende un velo rosso che le unisce; questo velo, frequente nell’iconografia, significa che l’evento raffigurato, dato esternamente, in realtà si svolge all’interno; è anche un simbolo del mistero che «copre» l’evento teofanico qui raffigurato e in parte svelato attraverso l’immagine.
Questi elementi: le due donne, i rispettivi edifici, il muro e il velo rosso sono costanti, cioè li ritroviamo sempre nell’icona della Visitazione.
All’inizio della mia ricerca, osservando i documenti a disposizione, ho incontrato altri, e diversi, elementi compositivi non sempre costanti che potevano far parte dell’icona della Visitazione. Fare una sintesi ha voluto dire anche scegliere fra questi elementi quali introdurre nella composizione finale e quali invece omettere, conservando all’immagine la sua essenzialità e, naturalmente, la sua fedeltà al dato evangelico e teologico.
Tra gli elementi compositivi incontrati in fase di ricerca, introdotti nelle prime bozze ma poi omessi perché non essenziali: le rocce, sullo sfondo dei due edifici, a significare la montagna presso la quale si trovava il villaggio di Zaccaria ed Elisabetta, e la presenza di una o più serve, immediatamente dietro Maria e/o Elisabetta, all’ingresso delle due case, in qualità di testimoni dell’evento.
Si è scelto d’introdurre invece nell’icona finale le figure dell’arcangelo Gabriele e di Zaccaria.
Per quanto riguarda l’arcangelo Gabriele, in realtà la sua presenza non è menzionata nel racconto evangelico della Visitazione, ma nelle due Annunciazioni che precedono questo evento egli è messaggero per entrambe le donne della nascita dei rispettivi figli. Qui «accompagna» il viaggio di Maria e benedice l’incontro con Elisabetta. La figura dell’arcangelo esce dalla mandorla celeste, simbolo dei cieli aperti e della presenza di Dio.
A lato di Elisabetta, in abiti sacerdotali, Zaccaria assiste all’evento dall’ingresso della sua casa.
Nei cicli pittorici che raffigurano la vita di Maria, cantata nell’Acatisto, l’incontro e il saluto tra Maria e Zaccaria costituisce un’immagine a parte e, insieme alla Visitazione vera e propria, un dittico. Nella nostra icona, invece, la figura di Zaccaria è stata introdotta nell’unica composizione, pur lasciando la centralità alle due donne. Egli tiene in una mano il rotolo della parola di Dio, l’altra è aperta con il palmo rivolto verso l’alto in un atteggiamento di stupore per l’avvenimento di cui è testimone.
Anche le alte colonne dietro Zaccaria ed Elisabetta simboleggiano il loro essere testimoni della fede in Cristo.
I colori degli edifici richiamano quelli degli abiti delle due donne, ma in modo alternato: la casa di Zaccaria ed Elisabetta è nei toni, smorzati, dell’abito di Maria e, viceversa, la casa dietro Maria richiama il verde del manto di Elisabetta.
L’alternarsi e il farsi eco dei colori a vicenda, dà unità e armonia all’insieme; non solo: il movimento, seppure molto pacato, generato dall’alternarsi e richiamarsi dei colori, ma anche delle linee (verticali e diagonali) e dei gesti, all’interno della composizione, contribuisce a mettere in risalto, a portare incontro al fedele il centro dell’icona che è l’abbraccio tra Maria ed Elisabetta.
Negli esempi che ho osservato, ho potuto notare una grande varietà di sfumature nella resa di questo incontro, nel quale si esprimono sempre però, seppure con accenti diversi, forza e tenerezza insieme. Nel contatto leggero dei volti, nell’intrecciarsi delicato degli sguardi e dei gesti, viene espressa tutta la tenerezza di questo abbraccio; nella solidità delle figure e nel vigore del loro slancio, tutta la sua forza.
Nelle icone russe, l’abbraccio di Maria con Elisabetta ha toni più pacati, il movimento delle figure è più fermo, quasi bloccato nella sua fissità, e si limita ad un leggero svolazzamento degli abiti; negli esempi greci e slavi, invece, l’incontro delle due donne è segnato da un movimento maggiore e da un abbraccio più vigoroso.
Ci sono alcuni tratti comuni che osserviamo pressoché costanti nell’immagine di questo abbraccio: nonostante entrambe le figure si muovano l’una verso l’altra, la persona di Maria è sempre la più eretta e ferma, regale nella sua giovinezza; quella di Elisabetta invece, pur essendo più anziana e china, esprime uno slancio e un dinamismo maggiori.
Il movimento, dato dall’incontrarsi delle due donne, viene espresso iconograficamente nella posizione delle gambe e dei piedi, nel chinarsi del busto e delle spalle, nello svolazzare di lembi di abito, e può essere più o meno accentuato.
L’abbraccio in sé interessa la parte superiore del corpo, ma ci sono esempi in cui le due figure si stringono per intero e le ginocchia si toccano. Il modo stesso dell’abbraccio varia tantissimo. Le due donne possono abbracciarsi stringendosi alle spalle con uguale intensità; altre volte la stretta si apre: Elisabetta con un braccio si appoggia, quasi si aggrappa a Maria, con l’altro si apre a indicarne con la mano il grembo. Ancora, le due donne si tengono entrambe per una spalla e si indicano il grembo a vicenda. Altre volte solo Elisabetta abbraccia Maria, mentre questa tiene le braccia conserte sul seno in un gesto tenero di pudore e quasi protettivo del frutto del suo grembo.
Anche attraverso lo sguardo delle due donne sono tante le possibilità di significato che si possono dare.
Maria ed Elisabetta possono guardarsi entrambe negli occhi, rivolte decisamente l’una verso l’altra; in altri casi, solo le guance si toccano e volto e sguardo sono rivolti al fedele; oppure, Elisabetta guarda Maria che ricambia con uno sguardo però che va oltre la cugina, in particolare quando Maria è leggermente più alta rispetto a Elisabetta. Anche se entrambe le donne sono quasi sempre raffigurate di 3/4, spesso il volto di Maria è maggiormente visibile, più frontale, e quello di Elisabetta seminascosto dietro il suo.
Per quanto riguarda i colori degli abiti, Maria indossa sempre il manto porpora scuro e la tunica blu, colori simbolici della sua regalità e dignità di Madre di Dio; Elisabetta può essere raffigurata in due modi: con il manto rosso e la tunica blu/verde, oppure con il manto verde, colore simbolico della presenza dello Spirito Santo, e la tunica gialla.
Dunque, l’abbraccio tra Maria ed Elisabetta viene espresso in modi diversi e con tante sfumature di significato. Rispetto a tanta ricchezza ho dovuto fare una sintesi e operare delle scelte in ordine a ciò che volevo esprimere o meglio, a ciò che, attraverso questo abbraccio, la Parola vuole comunicare e ha suscitato in me, passando per il mio vissuto personale.
Ho scelto di dare all’abbraccio di Maria con Elisabetta un certo slancio che esprimesse la gioia delle due donne nel ritrovarsi e nell’accogliersi reciprocamente, in una via di mezzo tra la fissità e ieraticità dei modelli russi e il movimento fin troppo accentuato degli esempi greci e slavi.
Maria rimane, come vuole la tradizione, la figura più eretta esprimendo in tutto il suo contegno la regalità del suo essere Madre di Dio. Lo svolazzare del suo manto ci dice che è arrivata in fondo al suo viaggio: ora Ella si ferma, pronta a ricevere la cugina.
Elisabetta si getta con slancio fra le braccia di Maria, come bisognosa d’aiuto e di sostegno. Tutta la sua figura: nella curva della schiena, nelle ginocchia che si piegano, nel braccio che pende lungo la spalla di Maria, esprime la gioia dell’incontro e l’abbandono fiducioso che ne deriva. Maria, nell’accoglierla, la tiene e la sorregge.
Elisabetta apre il suo abbraccio e indica il grembo di Maria: è il momento del riconoscimento di Gesù e di sua Madre, di ciò che lo Spirito ha operato in Lei. Proprio perché indica Gesù, questa mano, rispetto alle altre, è stata resa come la più luminosa.
Nell’incontro, i volti delle due donne si toccano. Elisabetta, alzando leggermente la testa posa il suo sguardo di vecchia e forte ebrea su quello giovane di Maria, la Tutta bella. Le due donne si guardano e si ritrovano l’una nello sguardo dell’altra, come in uno specchio, entrambe madri.
Il riconoscimento del grande dono che Dio ha fatto a entrambe, quello dei loro figli, è reciproco; un dono non solo per loro, ma per tutti gli uomini, un dono da vivere e da condividere nella gioia e nella gratitudine. Il mutuo abbraccio esprime proprio la condivisione di questa gioia intima e profonda, nella quale trova un senso nuovo anche la fatica del loro «portare».
La gioia nello Spirito non trova nell’iconografia un’espressione evidente, è data sempre in modo contenuto. Maria ricambia lo sguardo di Elisabetta ma nello stesso tempo guarda oltre lei e anche se stessa. Sempre nelle icone la Madre di Dio ha questo sguardo che supera il momento contingente, leggermente venato di mestizia, perché la Donna che medita la Parola di Dio conservandola nel suo cuore vede, alla luce dello Spirito, il destino del Figlio. E anche Elisabetta lo intravvede nello sguardo della Madre del suo Signore, il Cristo crocifisso e risorto, per ora ancora nascosto e totalmente amato nel grembo di Maria.
Nella resa dell’abbraccio e dello sguardo tra Maria ed Elisabetta c’è anche tutto quanto mi sentivo di dire ed ero in grado di dare in un momento importante e particolare della mia vita, di cambiamento e conversione.
Ricordo il giorno in cui dovevo iniziare il lavoro delle luci sui volti, la trepidazione e la gioia del momento. Ho chiesto, nella preghiera, la forza di rientrare in me stessa e di non lasciarmi distogliere da nessun tipo di agitazione, fuori e dentro di me. Volevo parlare di un abbraccio che è umano e divino insieme; un abbraccio che esprimesse un amore incondizionato, che si dona all’altro senza pretendere meriti e senza esigere il contraccambio, totalmente libero e gratuito, tanto forte e tenace nella sua fedeltà, quanto delicato nelle sue espressioni.
Nel mio ultimo viaggio in Russia, entrando in una cripta affrescata, ho trovato sotto l’immagine della Visitazione la raffigurazione dell’abbraccio tra Gionata e Davide. Mi è apparso subito un accostamento molto felice e di grande significato. Quella tra Davide e Gionata è stata un’amicizia non solo segnata da una profonda intimità e dalla totale fiducia reciproca, ma soprattutto dall’affidamento vicendevole a Dio. Gionata, parlando del suo rapporto con l’amico, dice: «Ecco il Signore tra me e te in eterno» (1 Sam 20,23).
Anche nell’abbraccio di queste due donne, il Signore c’è, è presente.
Nell’amicizia fra le creature, nel loro donarsi e accogliersi reciproco nella gratuità e nella verità di se stessi, non solo c’è un riflesso dell’amore uno e trino, ma c’è proprio Dio in mezzo.
Egli è presente in carne ed ossa, in mezzo a queste due donne, come Bambino, bisognoso di tutto, di tutte le cure, di tutto l’amore.
Il Signore ci chiama: ha il volto di questo Bambino, ha il volto del Crocifisso intravisto da sua Madre; Egli, in Maria, invita a metterci in cammino con gioia e sollecitudine verso l’altro. Nel viaggio, ci attende un abbraccio, il Suo, attraverso le persone che incontriamo e che ci amano, come Lui, in modo spassionato. In Elisabetta, c’invita ancora ad aprire le nostre braccia per accogliere con fiducia, in totale abbandono, avendone ogni cura, l’amore che ci viene donato.
Solo questo amore ricevuto e accolto può cambiare il cuore dell’uomo, può salvarlo e liberarlo, e renderci persone secondo il cuore e i desideri di Dio.
Francesca Pari