La Storia del seminario a cura del dott. Arnaldo Pedrazzi è stata pubblicata sui numeri 5, 6 dell’anno 2002 e 1, 2 dell’anno 2003 di “Ariminum” (Bimestrale di Storia, arte e cultura della Provincia di Rimint).
Al dott. Pedrazzi ed Ariminum vanno i nostri più sentiti ringraziamenti per l’interesse riservato al Seminario e per la gentile concessione del materiale qui pubblicato.
Il seminario sul colle di Covignano, è stato aperto nel settembre 2007, ma la sua storia ha avuto inizio ben cinque secoli prima, nel 1568, anno della sua fondazione.
Fin dal sec. XV nella Chiesa c’erano stati tentativi per restaurare una più intensa e disciplinata vita religiosa; il dilagare della Riforma protestante di Lutero del sec. XVI rese più urgente e necessaria quella che fu chiamata Controriforma cattolica i cui principi vennero stabiliti nel Concilio universale di Trento (1545-1563) per tentare la rappacificazione con i protestanti e per riformare la vita del clero.
In particolare il 5 luglio 1563 erano state dettate norme sull’ordinamento delle diocesi, ribadendo per i vescovi l’obbligo della residenza e additandone i doveri e prescrivendo anche l’erezione dei seminari: “il santo sinodo stabilisce che le singole chiese cattedrali… siano obbligate a mantenere, educare religiosamente ed istruire nella dis. ecclesiastica un certo numero di fanciulli… in un collegio scelto dal vescovo… di modo questo collegio sia perpetuo seminario di ministri di Dio”.
Il seminario di Rimini fu fondato nel 1568 dal vescovo Giulio Parisani; fu uno dei più antichi d’Italia, una istituzione assai salutare per la formazione del clero, del quale è noto quanto allora fossero rilassati i costumi. anche per lo spirito pagano trasfuso nella società per opera degli umanisti, e quanto profonda ne fosse l’ignoranza. I seminari dovevano significare la fine dell’abuso di ordinare sacerdoti degli incolti solo che conoscessero un po’ di latino; dovevano rappresentare una garanzia morale del clero e dovevano assicurare che l’educazione dei chierici si compisse in istituti sottoposti esclusivamente all’autorità della Chiesa dove non potessero penetrare dottrine da questa respinte.
La prima sede del seminario fu il palazzo del Cimiero che sorgeva all’inizio di via Tempio Malatestiano, concesso dal Comune ed adibito fino allora ad alloggio delle milizie cittadine.
A tre anni dalla fondazione gli alunni indossarono la loro prima veste talare che era violacea. Da una relazione della Diocesi di una quindicina di anni dopo, apprendiamo che all’insegnamento erano addetti quattro sacerdoti, che c’erano trenta alunni che dovevano mantenersi a loro spese e questo chiudeva quindi le porte a quelli poveri.
Passato un altro trentennio, con una scuola molto fiorente, gli alunni erano saliti a quaranta. Con il vescovo mons. Pavoni avvenne uno scambio delle sedi fra vescovado e seminario, passando il primo al palazzo del Cimiero e il secondo alla Curia, un angusto edificio a destra del Tempio Malatestiano e annesso alla chiesa di S. Innocenza, costituita da un gruppo di case fatte acquistare intorno al 1450 dal vescovo Egidio Guidoni per sostituire l’antico Episcopio di S. Colomba demolito per la erezione del Castel Sismondo: era il 1620. Otto anni più tardi presero stanza definitiva a Rimini ì Gesuiti che avevano aperto le loro famose scuole frequentatissime dagli studenti esterni del seminario, cioè dai figli dei nobili e dei ricchi borghesi, e in seguito anche da parte di seminaristi che trovavano ormai insufficiente l’opera dei maestri interni.
“Correvano l’ore 22 in circa del Giovedì Santo allorché viddesi alzarsi in faccia alla Città una nuvola di colore assai denso e fosco… quale appena avendo scoppiato in un tuono ottuso tremò gagliardamente la terra con duplicato moto… si spaventoso fu lo scuotimento che quasi non è restato edificio che non sii ruinato senza notabile offesa… le chiese dei Teatini, di S. Bartolomeo, della Colonnella, di S.Innocenza, il Seminario… restano quasi desolate nella maggior parte fino a’ fondamenti “
E’ questo un brevissimo stralcio di una relazione dell’epoca sullo spaventoso “Tremuoto” che il 14 aprile 1672 aveva danneggiato gravemente anche il nostro istituto. Da un abbozzo di regolamento di quei tempi, apprendiamo che gli iscritti erano divisi in alunni con veste cerulea, i giovani inclinati allo stato clericale, e in convittori con veste nera, gli esterni che compivano solamente la loro istruzione.
Il seminario rifiorì, siamo nel 1706, col card. Da Via, vescovo della nostra Diocesi, il cui primo pensiero fu di procurare degli ottimi insegnanti. Un nuovo incremento poi lo diede il vescovo Valenti quando, trovando l’istituto in uno stato impari al suo nobile scopo, si impegnò a impinguare le sue finanze e ad ampliarlo. Nel 1762 infatti fu abbattuto l’edificio vecchio ormai insufficiente e ne fu eretto uno nuovo, terminato dopo quattro anni che allora ospitava 53 chierici interni e 94 esterni alloggiati presso parroci o famiglie private.
DA CLEMENTE XIV A PIO X
Dopo pochi anni il seminario cambiò nuovamente sede. Nel 1773 il papa Clemente XIV (il Ganganelli di Santarcangelo), spinto dalle varie corti borboniche, aveva soppresso la Compagnia di Gesù e il collegio dei PP. Gesuiti venne chiuso insieme alle sue scuole. Il vescovo ottenne che in detto collegio e nella chiesa unita ad essa venisse trasferito il seminario e che i suoi professori facessero scuola anche per gli studenti esterni che praticamente non avevano a disposizione altri istituti di istruzione; per tale motivo dispose che venisse ingrandito con l’aggiunta di un’ala in via dei Cavalieri. La municipalità inoltrò ricorso a Roma pretendendo di dimostrare che le nuove scuole non erano all’altezza delle precedenti; il vescovo allora, per liberarsi da noie ed ingerenze secolari e per pagare i debiti incontrati nell’ampliamento della costruzione, decise che l’istituto tornasse nell’antica sede dopo avere venduto il collegio (ora sede dei Musei della Città) e l’annessa chiesa di S. Francesco Saverio (ora chiesa del Suffragio) ai PP. Domenicani.
Ma la vita del nostro seminario non poté a lungo svolgersi in pace perché le orde dei giacobini francesi calate in Italia ben presto fecero conoscere il loro odio verso la religione e le cose sacre; nel 1797 venivano soppresse molte corporazioni religiose e incamerati i loro beni.
Nella seduta del 4 termidoro (20 luglio) dell’anno dopo, il Direttorio aveva fatto una legge per la quale si abolivano anche i cosiddetti seminari e le loro scuole, considerando che vi si inculcavano massime contrarie al governo Repubblicano, che gli alunni venivano sottratti al servizio della Guardia Nazionale e infine che la gioventù doveva essere educata nelle scuole pubbliche dove, a detta di Danton, avrebbe succhiato il latte repubblicano. Come conseguenza di ciò, in quegli anni il grado dell’istruzione e della formazione del vero spirito sacerdotale del giovane clero lasciava alquanto a desiderare. Il precipitare degli eventi politici e il passaggio dal regime repubblicano a quello monarchico, indussero Napoleone 1 a concludere un concordato con la S. Sede e nel 1805 si riportarono i seminari nelle singole Diocesi.
L’anno successivo quello di Rimini rientrò in possesso di parte dei suoi beni, gli fu ceduta la chiesa di S. Innocenza che servì da Oratorio e venne quindi riaperto con 40 alunni.
Per tutta la prima metà del sec. XIX la sua scuola fu sempre molto fiorente tanto che all’occorrenza se ne serviva anche il Municipio di Rimini; ad essa si formò tutta una classe dirigente laica ed anzi ci si lamentava del prevalere degli studi profani su quelli religiosi.
Motivo di successo fu anche il fatto che l’insegnamento era tenuto in lingua italiana, contrariamente alle normali consuetudini, e gli alunni all’ingresso dei seminario dovevano abbandonare il linguaggio dialettale. In quei tempi molta importanza si diede ai comportamenti esteriori come l’obbedienza incondizionata verso i superiori e tra le virtù principali alla purezza, tanto da generare una paura quasi ossessiva per i contatti dei seminaristi con persone dell’altro sesso. Risale a quegli anni la rara medaglia d’argento del 1809, qui riprodotta, che è stata interpretata come una premiazione scolastica data dal seminario riminese (SEMinarius ARIMinensis) al più diligente in Umanità (HUMANITATIS DILIGENTIORI), uno dei corsi di insegnamento di allora.
Il nostro istituto subì poi momentanei disordini e soste forzate nel periodo del Risorgimento quando i suoi locali furono occupati ed adibiti a ricovero dei militari in transito: le truppe pontificie nel 1831 e ancora nel ’48 durante la guerra nel Lombardo Veneto, quelle piemontesi nel ’59. All’inizio degli anni sessanta c’erano 78 alunni interni e 35 esterni con 10 religiosi come maestri. Nel ’66 venne chiuso ai ragazzi per molti mesi perché occupato ed adibito come caserma dalle milizie italiane che lo ridussero in uno stato indecente. Subì lesioni nel terremoto del 17-18 marzo 1875.
Con l’ingresso nello Stato unitario, da parte della Chiesa avvenne una vera e propria chiusura al mondo che la circondava; parallelamente ciò accadde anche nel seminario nella cui scuola non furono più ammessi gli alunni esterni verso i quali era già stata vietata da tempo qualsiasi forma di comunicazione da parte dei seminaristi sia dentro che fuori delle classi.
A cavallo tra ‘800 e ‘900 sorse un fervore di rinnovamento che sfociò nel cosiddetto Modernismo che voleva adattare la religione cattolica alle esigenze moderne nel campo culturale e sociale e da questa ventata di novità fu investito anche il seminario dove furono assunti insegnanti favorevoli al nuovo pensiero. Pio X condannò duramente questo moto riformista con la lettera enciclica ‘Pascendi’ del 1907, dando norme per disciplinare gli studi del clero in seguito alle quali si ebbe un’ampia revisione del corpo insegnanti del nostro istituto dal quale vennero espulsi i seguaci della nuova corrente. L’ordinamento scolastico del seminario subì un ulteriore impulso
quando il vescovo Scozzoli ordinò l’insegnamento secondo i nuovi programmi, aggiungendo altre
materie e altri maestri; fu allora che l’istituto divenne di fatto interdiocesano perché ai suoi corsi di liceo e di teologia si iscrissero anche gli studenti dei seminari vicini. Questa fiorente iniziativa fu però troncata dalle difficoltà causate dalla prima guerra mondiale che disperse gran parte dei professori e degli studenti e poi definitivamente nel dicembre 1919 con la costruzione dei seminari regionali, una istituzione voluta dal papa per meglio controllare l’ortodossia dell’insegnamento dopo la crisi modernista; in quello di Bologna vennero trasferiti i tre anni di liceo e i quattro di teologia di tutte le scuole diocesane. Da allora nel nostro seminario sono rimasti solo i cinque anni ginnasiali.
DAL TERREMOTO DEL 1916 A1 BOMBARDAMENTI DEL 1943
II terremoto del 1916 provocò danni anche alla sede estiva del seminario, per parlare della quale dobbiamo fare un passo indietro e ritornare al 1839 quando cominciò la villeggiatura dei seminaristi nella Villa del Vescovado. Questa era un antico palazzo, posto sul colle di Covignano nella via delle Grazie (ora via Vasari), la cui prima costruzione, in quel periodo già scomparsa da tempo, risaliva al 1420 quando mons. Leonardi la fece erigere come casa estiva ad uso dei vescovi di Rimini su quello che allora si chiamava colle di Scolca.
Sulla scelta felice di quel luogo abbiamo un aneddoto che riguarda il card. Federico Sforza, vescovo di Rimini nel 1646, il quale riuscì a farsi trasferire nuovamente a Roma allegando attestati che l’aria della città era cagionevole alla sua salute, tanto che essendosi recato in villeggiatura a Covignano per ristabilirsi, “sia per le frequenti paludi di acqua stagnante che infestavano il piano, sia per lo spirare del fastidioso scirocco, oltre al mal di pietra di cui già soffriva da tempo, aveva preso la rogna, malattia comune agli abitanti di quel colle” (oggi al posto delle antiche zone paludose ci sono fertili e verdeggianti pianure chiamate Padulli e il colle è luogo ambito per la sua amenità e per la salubrità dell’aria).
La villeggiatura cessò venti anni dopo quando la Villa divenne quartiere di una parte delle milizie Garibaldine (in quel periodo anche Garibaldi soggiornò a Rimini); fu in quella occasione che i ritratti dei vescovi dipinti sulle pareti del refettori furono il facile bersaglio del tiro a segno dei soldati. Per quasi un quarantennio il palazzo del Covignano fu lasciato disabitato e nel più completo abbandono divenendo nella fantasia sempre accesa del popolino casa infestata dagli spiriti. Nel 1893 mons. Fegatelli, pur riservandone la proprietà alla Mensa Vescovile, aveva ceduto la costruzione ad uso perpetuo del seminario; vennero quindi iniziati dei lavori di sistemazione finché nei primi anni del novecento il vescovo Scozzoli, per rimediare alle ristrettezze del vecchio edificio, ne fece innalzare uno nuovo accanto.
A causa del terremoto del 1916, come già ricordato, il palazzo vecchio subì gravi danni. Durante la grande guerra l’edificio fu occupato dalla autorità militare; prima fu adibito a convalescenziario per i soldati colpiti da malaria e poi a custodia di cinquecento prigionieri austriaci che lo ridussero in uno stato veramente indecoroso. Fu nuovamente aperto ai seminaristi nel 1920 (corre voce che nei primi anni del ’40 l’edificio abbia dato ospitalità a molti ebrei).
Fin dal 1860, con la costruzione della stazione ferroviaria, erano cominciati fra grandi polemiche i progetti di ampliamento della stretta via Patara, collegamento fra piazza Giulio Cesare e il Tempio Malatestiano. Questi furono attuati negli anni 1920- 21 con la demolizione della chiesa di S. Innocenza e di una ala sia del nostro istituto che dell’ex convento dei francescani posto a sinistra della cattedrale: la via Patara divenne via IV novembre (la chiesa si trovava all’altezza dell’attuale Banca Popolare e oggi possiamo vederne il perimetro segnato sulla strada con cubetti di pietra).
I lavori per la costruzione della nuova facciata abbellita da eleganti negozi, per il rifacimento della Cappella interna, parzialmente demolita nella stessa occasione, (affrescata dal Brici) e per altre opere rese necessarie dallo stato indecoroso e antigienico degli ambienti più volte occupati delle soldatesche, furono ultimati nel 1933.
L’edificio assunse l’aspetto del palazzo attuale e il vecchio ingresso venne così a trovarsi nell’entrata del negozio d’angolo di oggi, lato duomo, al di sopra della quale è rimasta ancora la vecchia iscrizione:
PATET IUVENTUTI SACRIS DISCIPLINIS IMBUENDAE
(E’ aperta ai giovani da avviarsi alle sacre discipline)
Alla fine degli anni trenta i seminaristi vestivano già l’abito talare nero coi piccoli bottoni rossi e il cappello a tesa larga soprannominato “saturno” o il tricorno, la berretta a tre spicchi col pompon; in quell’anno c’erano una cinquantina di alunni ginnasiali.
Fino agli anni trenta, il clima e le tendenze dopo le riforme rimasero le stesse e anche se non mancarono le crisi vocazionali coincidenti coi momento forti della vita politica e sociale, la disciplina e l’ordinamento morale e scolastico restarono pressoché uguali concedendo poca libertà ai giovani.
Nell’estate del ’43, in pieno conflitto mondiale, i liceali e i teologi riminesi non poterono ritornare nel seminario regionale di Bologna distrutto dalle bombe. Il primo novembre di quell’anno iniziarono i bombardamenti su Rimini; tra i tanti edifici furono colpiti anche il seminario, l’ex collegio dei Gesuiti (diventato Ospedale Infermi), il Vescovado (il palazzo del Cimiero che fu poi, forse troppo frettolosamente, demolito per fare posto al condominio Fabbri) e la Villa estiva, che non fu più riedificata.
PUPILLA OCULI DEL VESCOVO
L’istituto fu costretto a sfollare a Montefiore nel Santuario Madonna di Bonora dove venne riaperto il 17 marzo 1944 con una trentina di liceali e una decina di teologi, mentre restavano a casa i ginnasiali; dopo pochi mesi i seminaristi dovettero però andarsene perché al passaggio del fronte, dal 30 agosto al 4 settembre, il Santuario venne proprio a trovarsi in mezzo alla battaglia del Conca, quando dovette subire prima i cannoneggiamenti degli inglesi e poi, dopo il loro arrivo, quelli dei tedeschi (Nel 1956, presso il Santuario, la Curia vescovile ha fatto costruire la nuova Villa estiva del seminario che è stata frequentata dagli studenti fino al ’62). Dopo la liberazione della nostra città avvenuta il 21 settembre 1944 gli allievi vennero chiamati nuovamente; alla fine di quell’anno i liceali ritornarono a Montefiore dove rimasero fino al ’49, mentre i teologi e una trentina di ginnasiali trovarono dapprima momentanea ospitalità nell’ex convento dei Carmelitani annesso alla chiesa di S. Giovanni Battista e poi nel dicembre 1946 rientrarono nella vecchia sede dove erano appena terminati i lavori di ricostruzione dovuti in gran parte agli sforzi del vescovo Santa, il cui ultimo gesto fu l’acquisto del terreno sul colle di Covignano.
Tre anni dopo liceali e teologi ripresero gli studi a Bologna. La scuola dei seminaristi non era mai stata legalmente riconosciuta e i suoi maestri erano sacerdoti generalmente senza abilitazione. Si ebbe un cambiamento solamente negli anni 1955-56 quando, dietro il maggior impulso alle attività giovanili volute dal vescovo Biancheri, venne loro consentito di sostenere un esame nelle scuole statali come privatisti per avere un titolo di studio riconosciuto; in quegli anni la veste talare fu sostituita da una divisa con giacca e pantaloni neri.
Quando ci si rese conto che i servizi del seminario non erano più adeguati e sufficienti per le nuove esigenze, venne presa la decisione, sempre durante l’episcopato di mons. Biancheri, di costruire sul colle di Covignano la nuova sede che venne aperta, anche se ancora non ultimata, nel 1962 con una settantina di seminaristi; la divisa fu abolita definitivamente. L’ edificio fu terminato l’anno dopo e nel 1971 fu aggiunta la chiesa interna (Oggi gli unici ricordi della cappella della vecchia sede sono due portali della sagrestia visibili nella Banca Popolare, due pannelli in ferro battuto che facevano parte della balaustra, che sono andati ad arricchire il cancello degli Uffici delle Entrate, e degli affreschi staccati, uno dei quali è stato collocato nella sagrestia della chiesa del seminario nuovo).
Sempre nel 1962 Paolo VI aveva indetto il Concilio Vaticano II dove il decreto sulla formazione sacerdotale “Optatam Totius” diede una nuova spinta al rinnovamento della vita dei seminari. Con l’intento di favorire le vocazioni vennero formati dei gruppi di sacerdoti che con l’aiuto di “zelatrici” laiche dovevano fare opera di proselitismo nelle diocesi, fu data la giusta importanza alla vita sportiva da sempre troppo sacrificata e venne sottolineata la necessità di una scuola adeguata.
Quattro anni dopo, per questa ultima esigenza, all’interno del seminario fu istituita una succursale della scuola media statale aperta a tutti con insegnanti laici, mentre fu deciso di fare frequentare ai ragazzi delle superiori le scuole pubbliche; a Bologna continuò il corso di Teologia allungato a cinque anni.
Nel 1977, in seguito alle agitazioni sindacali degli insegnanti e per evitare che gli alunni interni ne venissero coinvolti, la curia fece aprire una seconda succursale privata e parificata. Alla fine degli anni ottanta, a Rimini viene inaugurato il Biennio Teologico, mentre il completamento degli studi continua ancora oggi a Bologna.
Nel 1991 il vescovo De Nicolò, non volendo continuare a sostenere gli alti costi di gestione della scuola media riservata al seminario, decise che gli alunni frequentassero nuovamente l’annesso istituto statale degli esterni diventato nel frattempo la sede autonoma Alberto Marvelli.
È stato negli anni del post-concilio che si è avuto la svolta nella vita del seminario, quando la Santa Sede si è resa conto che bisogno di rinnovamento, valorizzazione della presenza nel mondo e superamento delle molte barriere che tanti anni di isolamento avevano creato, erano più che mai necessari. I seminari dovevano più di ogni altra struttura, incarnare queste nuove esigenze che la Chiesa andava riscoprendo e facendo proprie. Da allora il nostro seminario ha sempre proseguito su questa linea ecclesiale; i frutti non sono mancati e, pur tra tante difficoltà, le chiamate ad abbracciare la vita sacerdotale non sono mai mancate nella nostra diocesi. Con il corso degli anni il seminario è divenuto centro di animazione vocazionale diocesano.
Ricordiamo l’incontro di Giovanni Paolo II con i parroci romani, avvenuto nel febbraio 2002, a proposito del problema della scarsità delle vocazioni, spesso conseguenza dell’attenuarsi della fede. II pontefice ha esortato i preti ad agire concretamente per contrastare questa tendenza, non limitandosi a pregare; ai sacerdoti è richiesto di dare un esempio positivo della loro missione, perché se i giovani li vedono trascurati nei compiti del loro ministero e pronti “allo scontento a al lamento”, come potranno essere affascinati dalla vita del sacerdozio? II seminario, ha proseguito il Papa, è la “pupilla oculi” del vescovo, perché attraverso di essa egli vede il futuro della Chiesa al quale deve guardare con speranza.
Nel marzo del 2003 la Diocesi di Rimini ha bandito un Concorso di progettazione a carattere provinciale per il trasferimento del Seminario Vescovile a San Fortunato, struttura posta nel sito dell’antica abbazia Olivetana di S. Maria di Scolca: il bando richiedeva che la nuova sede fosse collocata in parte negli ambienti dell’ex abbazia ed in parte in edifici di nuova costruzione.
Il nuovo complesso avrebbe dovuto contenere il Seminario Vescovile, la Biblioteca Diocesana e l’Istituto Superiore di Scienze Religiose.
La nuova sede del Seminario Vescovile di Rimini costruita per volontà del Vescovo di Rimini, mons. Mariano De Nicolò e da lui è stata inaugurata il 13 settembre 2007.
Da monastero a ristorante: breve storia del Monastero degli Olivetani di Scolca.
Le prime notizie sul monastero di Scolca risalgono al 1415, quando Carlo (Malatesta) sopra il terreno della sua villa di Scolca eresse un monastero e una chiesa in onore della santissima sempre Vergine chiamando S. Paolo Eremita dalla chiesa di S. Lorenzo in Monte.
Alla partenza degli Agostiniani di S. Paolo Eremita, per volere dei Malatesta il 17 ottobre 1421, frate Girolamo Santi di Perugia e frate Pietro di Napoli, presero possesso del complesso a nome degli Olivetani.
Nel 1429 Carlo Malatesta fece iniziare a costruire ed edificare una nuova chiesa che ebbe una sola navata.
Nel 1430 nel monastero alloggiavano sei monaci e nel 1433 la costruzione doveva essere quasi terminata, perchè il 3 maggio vi si celebra il Capitolo Generale.
Nel 1511 volendo abbelire il loro monastero di Scolca i frati Olivetani ricorsero al doge di Venezia Lorenzo Loredani, nel 1653 viene edificato il porticato con la soprastante galleria (distrutta durante la seconda guerra mondiale).
Nella seconda metà del ‘700, il monastero aveva raggiunto dimensioni importanti.
Nel 1786 il grave terremoto che colpisce il territorio riminese non risparmia il complesso olivetano che risulta in gran parte distrutto.
Nel 1797 il monastero verrà soppresso in base all’ordinanza del Governo Repubblicano di Rimini e fu acquistato dal Cisterna e soci per pura speculazione, per demolirlo e venderne i materiali.
L’8 maggio 1802 si inizia a demolire il monastero: dell’intero complesso non rimarranno in piedi che la chiesa, l’abitazione del parroco e una parte del vecchio convento.
Agli inizi del 900 il corpo su via Covignano viene trasformato in villa privata. Nel 1923 questa parte del complesso viene accatastata come “Casino di villeggiatura”, di proprietà della famiglia Renzi.
Il monastero e la villa vennero adibiti ad Ospedale ed a rifugio antiaereo, durante il passaggio del fronte, e saranno gravemente danneggiati dai bombardamenti del ’44.
Nel 1958 il fabbricato, viene donato dai conti Cantelli, alla parrocchia di S. Fortunato che adibirà parte dei locali ad usi parrocchiali ed affitterà il corpo di fabbrica su via Covignano a ristorante.
Da ristorante a Seminario
Il cambio di edificio, per una realtà come il Seminario, rappresenta un evento dal grande valore simbolico derivante dalla natura del Seminario stesso, chiamato ad essere nella Chiesa una luogo-segno, un richiamo all’impegno per le vocazioni sacerdotali, anima della vita della comunità cristiana. Una comunità e non un edificio
Certamente ciò che costituisce il Seminario non è prima di tutto l’edificio, ma piuttosto la comunità che lo abita.
Mentre ai tempi di mons. Biancheri il Seminario di Rimini era quasi esclusivamente una comunità costituita da ragazzi delle medie ed adolescenti, oggi il Seminario vede una presenza variegata e con proposte di vita diversificate.
Il Seminario rappresenta, da sempre, la speranza della nostra Diocesi.
Edificare un nuovo seminario significa non cedere alla logica della rassegnazione di fronte alla cosiddetta “crisi delle vocazioni sacerdotali”, ma credere che “il braccio del Signore non si è accorciato” e che ancora il Signore chiama e interpella giovani per il dono di tutta la vita al servizio di Dio, della Chiesa e del mondo.
Nella nostra Chiesa riminese è sempre stata forte la consapevolezza che sul Seminario e sulla pastorale delle vocazioni era necessario investire molte energie e tante ne sono state profuse dal vescovo, dal presbiterio, dalle parrocchie, dalle varie realtà ecclesiali della nostra Diocesi.
Nel nuovo edificio, la comunità del seminario, non può che continuare ad essere il segno ed il richiamo che la nostra Diocesi non ha nessuna intenzione di disarmare, ma che piuttosto intende rinnovare l’impegno, perché la nostra Chiesa possa continuare il suo cammino, per provvedere, anche alle comunità cristiane di domani, i necessari ministri per l’annuncio della Parola, la celebrazione dei sacramenti e la guida delle comunità ecclesiali.